cartolarizzazione

La cartolarizzazione è una tecnica finanziaria che consiste nella trasformazione di una serie di attivi, come ad esempio prestiti, mutui, leasing o altri titoli, in strumenti finanziari negoziabili, chiamati “titoli cartolarizzati”.

Essa permette a chi possiede i titoli di trasferire il rischio di credito o di investimento ad altri soggetti, come ad esempio investitori istituzionali o retail, che acquistano i titoli cartolarizzati.

Definizione di cartolarizzazione

I titoli cartolarizzati sono suddivisi in diverse classi, a seconda del grado di rischio e del rendimento atteso. Ad esempio, i titoli cartolarizzati senior hanno un grado di rischio più basso e un rendimento più elevato rispetto a quelli junior.

La cartolarizzazione è uno strumento finanziario molto utilizzato, sia da parte delle banche che dei non bancari, per ottenere liquidità e finanziamenti a medio-lungo termine, ridurre il rischio di credito o di investimento e diversificare il portafoglio di attivi.

Tuttavia, la cartolarizzazione è stata oggetto di critiche per il ruolo che ha avuto nella crisi finanziaria del 2007-2008, quando la scarsa qualità degli attivi sottostanti e la sovrastima del loro valore hanno contribuito alla diffusione di prestiti insofferenti e alla crisi dei mercati finanziari. Da allora, sono state introdotte nuove normative per regolamentare e supervisionare la cartolarizzazione, al fine di garantire la trasparenza e la qualità degli attivi sottostanti e ridurre i rischi di insolvenza per gli investitori.

Le normative sulla cartolarizzazione variano a seconda del Paese, ma in generale prevedono l’obbligo di pubblicare un prospetto informativo dettagliato sugli attivi sottostanti e sulle condizioni del prestito, l’obbligo di sottoporre i titoli cartolarizzati a una valutazione indipendente e l’obbligo di rispettare determinati requisiti di qualità e diversificazione degli attivi.

Come funziona?

La cartolarizzazione può essere utilizzata sia per finanziare il credito al consumo che il credito immobiliare, anche se in quest’ultimo caso è stata meno diffusa a causa dei rischi connessi al mercato di riferimento. La cartolarizzazione è una tecnica finanziaria che permette di trasformare una serie di attivi, come ad esempio prestiti, mutui, leasing o altri titoli, in strumenti finanziari negoziabili, chiamati “titoli cartolarizzati”.

Può essere effettuata da banche, società finanziarie o altri soggetti che vogliono ottenere liquidità e finanziamenti a medio-lungo termine, ridurre il rischio di credito o di investimento e diversificare il portafoglio di attivi.

Per effettuare la cartolarizzazione, il soggetto che possiede gli attivi da trasformare in titoli cartolarizzati (ad esempio una banca) crea una società speciale, detta “veicolo di cartolarizzazione”, che acquista gli attivi dal soggetto originario. Il veicolo di cartolarizzazione emette quindi i titoli cartolarizzati, che sono suddivisi in diverse classi a seconda del grado di rischio e del rendimento atteso, e li vende agli investitori.

I titoli cartolarizzati sono strumenti finanziari negoziabili che conferiscono a chi li possiede il diritto di ricevere gli interessi e il rimborso del capitale associati agli attivi sottostanti. I titoli cartolarizzati sono quindi espressione del debito del veicolo di cartolarizzazione verso gli investitori.

La cartolarizzazione può essere vantaggiosa sia per il soggetto che possiede gli attivi da trasformare in titoli cartolarizzati, che può ottenere liquidità e finanziamenti a medio-lungo termine, sia per gli investitori, che possono diversificare il proprio portafoglio di attivi e ricevere un reddito costante e prevedibile.

Tuttavia, è importante tenere presente che la cartolarizzazione comporta anche dei rischi, in particolare il rischio di insolvenza del veicolo di cartolarizzazione e il rischio di credito o di investimento degli attivi sottostanti.

L’ammortamento del mutuo è il processo di estinzione di un mutuo a rate, ovvero il rimborso del debito contratto con la banca o l’istituto finanziario che ha erogato il prestito.

Il mutuo viene generalmente ammortizzato attraverso il pagamento di rate periodiche che comprendono sia il rimborso del capitale che gli interessi. Il capitale è la somma di denaro effettivamente prestata dalla banca, mentre gli interessi sono il costo del prestito, ovvero il guadagno della banca per aver messo a disposizione il denaro.

Rate e ammortamento: ecco cosa è importante sapere

Le rate del mutuo sono solitamente costituite da una quota di interessi e da una quota di ammortamento del capitale. Nelle prime rate, la quota di interessi è generalmente più elevata rispetto a quella di ammortamento, mentre nelle rate successive la quota di ammortamento del capitale aumenta e quella degli interessi diminuisce.

L’ammortamento del mutuo può avvenire in diverse modalità, a seconda delle esigenze del debitore e delle condizioni stabilite con la banca. Ad esempio, il mutuo può essere ammortizzato in rate costanti, ovvero con un importo fisso che rimane invariato per tutta la durata del prestito, oppure in rate crescenti, ovvero con un importo che aumenta nel tempo per tenere conto dell’inflazione o di altri fattori.

Inoltre, il mutuo può essere ammortizzato in modo misto, ovvero con una combinazione di rate costanti e rate crescenti. In questo caso, le rate iniziali sono costanti, mentre quelle successive aumentano in modo graduale per compensare l’aumento dei tassi di interesse o di altri fattori.

L’ammortamento del mutuo è un processo molto importante, poiché determina il tempo necessario per estinguere il debito e il costo totale del prestito. È quindi fondamentale fare una valutazione accurata delle proprie possibilità finanziarie e scegliere la modalità di ammortamento più adeguata alle proprie esigenze.

L’ammortamento può subire variazioni nel tempo?

Il piano di ammortamento di un mutuo può essere modificato in base alle esigenze del debitore e alle condizioni stabilite con la banca o l’istituto finanziario che ha erogato il prestito.

Tuttavia, è importante tenere presente che le modifiche al piano di ammortamento possono comportare dei costi aggiuntivi, come l’imposta di bollo o le commissioni per la variazione del contratto. Inoltre, la banca può richiedere un’attestazione di reddito o una garanzia aggiuntiva per valutare la fattibilità della modifica del piano di ammortamento.

Esistono diverse ragioni per cui un debitore può voler modificare il piano di ammortamento di un mutuo. Ad esempio, può voler aumentare o diminuire la frequenza delle rate, cambiare la modalità di ammortamento (da rate costanti a rate crescenti o viceversa), oppure può voler modificare l’importo delle rate per adeguarle alle proprie possibilità finanziarie.

In ogni caso, è importante valutare attentamente tutti gli aspetti della modifica del piano di ammortamento, tenendo presente che essa può avere un impatto sulla durata del mutuo, sui costi totali del prestito e sulla situazione finanziaria del debitore.

Cosa è importante sapere sulla modifica del piano di ammortamento?

Prima di procedere con la modifica del piano di ammortamento, è quindi consigliabile rivolgersi alla banca o all’istituto finanziario per ottenere informazioni dettagliate e valutare tutte le opzioni disponibili. Inoltre, è importante verificare che la modifica del piano di ammortamento sia compatibile con le condizioni del contratto di mutuo e con le normative vigenti.

Inoltre, è consigliabile fare una valutazione accurata della propria situazione finanziaria e verificare se ci sono altre soluzioni alternative per far fronte alle difficoltà finanziarie, come ad esempio l’estinzione anticipata del mutuo o il richiamo di una polizza di assicurazione sui prestiti.

Le polizze di assicurazione sui prestiti sono prodotti finanziari che proteggono il debitore e la sua famiglia in caso di eventi imprevisti, come ad esempio la perdita del lavoro, l’invalidità o il decesso. In queste situazioni, l’assicurazione può intervenire per far fronte alle rate del mutuo e garantire la continuazione del rimborso del debito.

Il RID bancario, o addebito diretto, è uno strumento di pagamento che permette di autorizzare la propria banca a gestire gli addebiti di un determinato creditore. In pratica, il titolare di un conto corrente può autorizzare la propria banca a accettare gli addebiti di una specifica società o ente.

Il RID è stato introdotto per la prima volta in Italia nel 1992 e ha permesso di semplificare i pagamenti periodici, come ad esempio le bollette o le rate di un finanziamento. A partire dal 2014, il RID è stato sostituito dall’addebito diretto SEPA (SDD) che gestisce gli incassi in euro in tutta l’area SEPA, ovvero i paesi dell’Unione Europea più alcuni altri paesi aderenti all’accordo.

Cosa è importante sapere del RID?

L’addebito diretto viene spesso utilizzato per i pagamenti periodici, come ad esempio le bollette di luce, gas e acqua, le rate di un mutuo o di un finanziamento, o il canone di un abbonamento televisivo. Tramite una delega permanente, l’importo dovuto viene prelevato dal conto del debitore e trasferito al creditore.

Ci sono diversi vantaggi nell’utilizzo dell’addebito diretto. Innanzitutto, permette di evitare di dover ricordare di effettuare il pagamento in una data specifica, in quanto questo avviene in modo automatico. Inoltre, consente di risparmiare tempo e di evitare eventuali insoluti o interessi di mora.

Tuttavia, c’è anche il rischio che vengano addebitati importi superiori a quelli previsti. Ad esempio, una bolletta inaspettatamente elevata potrebbe prosciugare il conto corrente del debitore, provocando anche l’interruzione del servizio non pagato e facendo maturare ulteriori spese. Per questo motivo, è importante verificare regolarmente le fatture inviate dal creditore e, se necessario, contestare gli importi che si ritiene siano errati.

Come gestire al meglio i pagamenti con addebito diretto

Per agevolare le verifiche, il creditore è tenuto a inviare una pre-notifica degli addebiti, che può consistere nell’invio della fattura o della bolletta, o in un semplice avviso di addebito.

Inoltre, il debitore può revocare la delega in qualsiasi momento, anche se è importante tenere presente che questo potrebbe comportare l’interruzione del servizio o il pagamento di penali. Per bloccare o revocare l’addebito diretto, è sufficiente contattare la propria banca e seguire le istruzioni che verranno fornite. In alcuni casi, potrebbe essere necessario compilare un apposito modulo e inviarlo via fax o via posta.

È importante sottolineare che l’addebito diretto non è l’unico strumento di pagamento disponibile per gestire i pagamenti periodici. Ad esempio, si può optare per il pagamento tramite bonifico, che permette di effettuare il pagamento in modo manuale utilizzando le coordinate bancarie del creditore. Tuttavia, il bonifico non è sempre la soluzione più conveniente, soprattutto se si devono effettuare molti pagamenti ogni mese, in quanto richiede di dover inserire ogni volta le coordinate bancarie e di dover attendere l’accredito, che può impiegare fino a 3 giorni lavorativi.

Inoltre, esistono altri strumenti di pagamento, come ad esempio la carta di credito o il portafoglio elettronico, che permettono di effettuare pagamenti online in modo rapido e sicuro. Tuttavia, questi strumenti comportano spesso l’addebito di commissioni o di tassi di interesse, che possono rendere il pagamento meno conveniente rispetto all’addebito diretto o al bonifico.

In definitiva, il RID bancario o addebito diretto è uno strumento di pagamento molto utile per gestire i pagamenti periodici, soprattutto se si hanno molte scadenze o se si vuole evitare di dimenticare di effettuare il pagamento.

 Tuttavia, è importante verificare regolarmente le fatture e, se necessario, contestare gli importi errati o revocare la delega. Inoltre, è sempre bene valutare le altre opzioni di pagamento disponibili e verificare qual è quella più conveniente in base alle proprie esigenze.

euribor

L’Euribor (Euro Interbank Offered Rate) è un tasso di interesse a medio-lungo termine. Esso viene utilizzato come riferimento per molti prestiti e finanziamenti in valuta di Euro e viene calcolato sulla base dei tassi di interesse offerti dalle banche per i prestiti tra di loro in Eurozona.

In particolare L’Euribor viene calcolato ogni giorno per diverse scadenze, da un giorno a dodici mesi. Viene pubblicato ogni giorno alle 11:00 (ora di Bruxelles) dall’European Money Markets Institute (EMMI).

Questo tasso è utilizzato come principale riferimento per molti prestiti e finanziamenti a tasso variabile, come ad esempio i mutui a tasso variabile o i prestiti personali. In questi casi, il tasso di interesse effettivo applicato al prestito viene calcolato sommando un margine al tasso di riferimento (l’Euribor).

Di conseguenza non si esprime come tasso fisso proprio perché varia in base alle condizioni del mercato. Ecco perché i finanziamenti a tasso variabile basati sull’Euribor possono avere un tasso di interesse effettivo che varia nel tempo.

A cosa serve l’Euribor?

L’Euribor serve è un importante riferimento per tutti i prestiti e i finanziamenti a tasso variabile in euro. Esso viene correntemente utilizzato come base per calcolare il tasso di interesse effettivo applicato al prestito erogato.

Per esempio chi ha acceso un mutuo a tasso variabile, perciò basato sull’Euribor, dovrà considerare, rata per rata, il seguente calcolo: il tasso di interesse effettivo del mutuo sommato al margine al tasso di riferimento (l’Euribor). Se l’Euribor aumenta, il tasso di interesse effettivo del mutuo aumenterà di conseguenza, mentre se l’Euribor diminuisce, il tasso di interesse effettivo del mutuo diminuirà.

Oltre ai prestiti e ai finanziamenti, l’Euribor viene utilizzato anche come riferimento per altri tipi di contratti finanziari, come ad esempio i contratti di swap di tasso di interesse. In generale, l’Euribor è uno strumento molto importante nel mercato finanziario europeo, poiché fornisce un riferimento per il tasso di interesse a medio-lungo termine in euro e viene utilizzato come base per il calcolo del tasso di interesse di molti prestiti e finanziamenti.

In che modo influenza prestiti e mutui?

Il tasso Euribor influenza il costo del prestito o del mutuo a tasso variabile, poiché determina il tasso di interesse effettivo applicato. Pertanto, se l’Euribor aumenta, il costo del prestito o del mutuo aumenterà, mentre se l’Euribor diminuisce, il costo del prestito o del mutuo diminuirà. È importante notare che l’Euribor non influenza i prestiti e i mutui a tasso fisso, poiché in questi casi il tasso di interesse è fisso per l’intera durata del prestito o del mutuo.

I prestiti a tasso variabile possono essere convenienti o meno a seconda delle circostanze individuali e delle condizioni del mercato. In generale i prestiti a tasso variabile sono più convenienti quando i tassi di interesse sono bassi, poiché in questo caso il tasso di interesse effettivo applicato al prestito sarà più basso. Tuttavia, se i tassi di interesse aumentano nel corso del tempo, il tasso di interesse effettivo del prestito a tasso variabile aumenterà di conseguenza, rendendo il prestito meno conveniente.

Ecco perché è sempre importante valutare attentamente le proprie circostanze individuali e le previsioni sui tassi di interesse prima di scegliere un prestito a tasso variabile.

Se si prevede che i tassi di interesse rimarranno bassi per un lungo periodo di tempo, un prestito a tasso variabile potrebbe essere conveniente. Al contrario, se si prevede che i tassi di interesse aumenteranno nel prossimo futuro, potrebbe essere più conveniente scegliere un prestito a tasso fisso, poiché in questo caso il tasso di interesse rimarrà costante per l’intera durata del prestito.

L’iva agevolata al 10% per i lavori edili è una particolare condizione per la quale, in caso di recuperi edilizi, ristrutturazioni, restauri o risanamento è possibile ottenere uno sconto considerevole sul totale dell’intervento.

A stabilire questo beneficio è stata la stessa Agenzia delle Entrate, in riferimento alla guida alle ristrutturazioni resa nota nel 2018. Questa ha messo nero su bianco le condizioni per le quali è possibile accedere all’IVA agevolata, sia al 10% che al 4% e, quindi, pagare una cifra significativamente inferiore a quella riportata sul preventivo di spesa. In che modo funziona? Come è possibile beneficiarne? Vediamo qui di seguito tutte le informazioni sull’argomento.

Cos’è l’iva agevolata al 10%?

L’IVA agevolata è un costo fiscale più basso riservato a chi, tramite apposita certificazione, si accinge ad effettuare taluni interventi di miglioramento di un’abitazione o di uno stabile. In pratica è un’agevolazione che si applica ad una grande varietà di lavori edili tra cui figurano:

-recupero edilizio

-ristrutturazione

-risanamento

-restauro.

Si applica anche all’acquisto di determinati beni dai quali, tuttavia, sono esclusi i semilavorati e le materie prime. Per ottenere tale agevolazione, dopo la stipula di un normale contratto di avvio dei lavori o di appalto, è necessario certificare in modo molto dettagliato l’esecuzione di tutto l’intervento.

Cosa è importante sapere?

I lavori edili che godono dell’iva agevolata sono da dichiarare tramite auto-certificazione. Questo significa che la persona che riceve l’agevolazione si prende la responsabilità di quanto dichiarato.

Oltre ai lavorio di risanamento conservativo l’iva agevolata comprende l’acquisto di beni che non siano materie prime o semilavorati. La condizione essenziale per accedere, tuttavia, è l’indizione di un contratto di appalto.

Tra i beni che rientrano in questa agevolazione rientrano ascensori e montacarichi, infissi, nuove caldaie, videocitofoni, condizionatori, sanitari, impianti di sicurezza e rubinetterie.

Noni rientrano nell’IVA agevolata i materiali e i beni forniti da soggetti differenti all’impresa appaltatrice dei lavori e quelli che non siano stati acquistati dal committente.

Come si richiede questa agevolazione?

L’iter è piuttosto semplice. Occorre produrre l’autocertificazione a seguito della quale dovranno essere presentati i documenti dei lavori eseguiti.

In particolare sono necessarie le copie delle concessioni edilizie e degli atti, i documenti di identità e i codici fiscali dei soggetti coinvolti, e le ricevute dei pagamenti. Per la procedura che interessa soggetti privati, in ogni caso, suggeriamo di chiedere supporto alla ditta alla quale abbiamo appaltato i lavori. Inoltre è necessario verificare con attenzione se tale beneficio possa escluderne altri, per esempio i bonus elargiti dal Governo per tutti i lavori di miglioramento energetico di abitazioni ed immobili.

Tan e Taeg sono due indicatori molto importanti che ci fanno capire quanto un prestito o un mutuo siano davvero convenienti. Chiaramente per un consumatore questi termini potrebbero risultare ostici, soprattutto perché fanno riferimento ad indicatori complessi sui quali si fonda il calcolo degli interessi che dovremo corrispondere a chi ci avrà prestato del denaro. Ad ogni modo, oggi, semplificheremo le cose e ti aiuteremo a capire cosa sono Tan e Taeg e, soprattutto, quali sono le differenze che li caratterizzano.

Per prima cosa partiamo dalle definizioni dal momento che queste due sigle, in realtà, sono acronimi. Tan corrisponde a Tasso Annuo Nominale ed è un valore espresso in percentuale che ha una connotazione annuale. Il Taeg, invece, è il Tasso Annuo Effettivo Globale ed è il valore che ci aiuta a capire quanto ci costerà, in totale, il prestito che siamo interessati a richiedere, spese incluse. Il calcolo del Taeg, in ogni caso, dipende sempre dal valore del Tan.

Che differenza c’è tra Tan e Taeg?

Il Tan è il tasso di interesse che le banche applicano all’importo finanziato, ovvero al denaro che abbiamo ottenuto in prestito. Il tasso di interesse, molto semplicemente, verrà utilizzato dalle banche per calcolare, rata per rata, quali costi ti saranno addebitati in aggiunta al denaro che abbiamo ricevuto.

Questa informazione è sempre specificata nel piano di ammortamento, ovvero nel documento che riepiloga tutte le rate di cui dovrai farti carico e in quali tempistiche. Il Taeg, invece, è il valore che esprime l’intero importo del prestito e, quindi, include anche gli interessi, i costi di istruttoria, le spese di incasso della rata, le tasse e, infine, l’assicurazione quando questa è prevista.

Come avviene il calcolo?

Il calcolo dipende dal tipo di finanziamento. Per esempio ci sono i finanziamenti a tasso variabile per i quali si seguono specifici indici finanziari come Euribor e BCE. Nel caso dei finanziamenti a tasso fisso, invece, gli indici di calcolo degli interessi riguarderanno l’indice Eurirs, Euro Interest Rate Swap.

Sono calcoli molto complessi che tengono conto di numerose variabili tra cui anche lo spread dell’istituto a cui ci siamo rivolti.

Ciò che è importante per un consumatore non è tanto il TAN ma il Taeg dal momento che, come abbiamo già anticipato, è il valore che ci permette di capire quali sono i costi che dovremo sostenere per ottenere il prestito.

Perché sono così importanti per la scelta del prestito?

La risposta è piuttosto ovvia. Difatti quando chiediamo un finanziamento non dobbiamo limitarci a guardare a quanto ammonterà la rata, nonostante questa sia un’informazione essenziale per firmare il contratto.

È importante considerare tutti gli aspetti che riguardano il prestito e, tra questi, vi è certamente il costo che ci verrà addebitato, rata per rata, per ottenere la liquidità di cui abbiamo bisogno.

Inoltre ci sono finanziarie che applicano politiche di concessione più restrittive e, quindi, in presenza di poche garanzie di solvibilità da parte del richiedente, potrebbero aggiungere costi aggiuntivi nel TAEG come l’assicurazione sul prestito.

La prescrizione debiti è l’atto con cui un pagamento, per via della sua scadenza nel tempo, viene annullata. Chiaramente non si tratta di una situazione che si verifica facilmente, altrimenti tutti potrebbero avere il “diritto” di annullare un debito pregresso facendo trascorrere del tempo. I debiti, infatti, ove sia certo che siano dovuti, sono sempre da saldare per evitare di incorrere nelle conseguenze previste dalla Legge del nostro Paese. Tuttavia ci sono alcuni casi in cui, per l’appunto, il debito viene prescritto, ossia annullato. Vediamo quali sono.

Cosa comporta avere un debito?

Il debito è una situazione in cui siamo in dovere di restituire un importo preso in prestito in varie modalità. Il caso più comune è quello del finanziamento o prestito personale, un contratto che ci permette di ricevere una cifra da una banca o finanziaria e di restituirlo a rate. In questi casi il mancato pagamento di anche solo una rata comporta, automaticamente, una serie di guai finanziari tra cui la segnalazione al Crif.

La somma presa in prestito dovrà essere totalmente restituita a rate, fino all’ultimo centesimo. In aggiunta pagheremo il costo del servizio espresso in percentuale e noto come tasso di interesse. A questa spesa si aggiungono quelle eventualmente previste dalla banca che, solitamente, riguardano i costi di istruttoria, le spese di incasso della rata e quelle delle polizze (facoltative o obbligatorie) a seconda del tipo di prestito.

Cosa succede in caso di ritardo nei pagamenti?

Come anticipato poc’anzi un ritardo nel pagamento di una rata causa l’addebito di interessi di mora che verranno applicati alla rata successiva. Si tratta di un incentivo per spingere le persone a rispettare gli impegni presi, salvo il fatto per cui ogni banca, prima di concedere un prestito, sia solita accertarsi di fare affari con pagatori affidabili.

In caso contrario il debitore sarà iscritto presso l’Albo dei Cattivi Pagatori, con la conseguenza di non poter accedere al credito finché non avrà ripristinato la propria condizione. Possiamo considerarla come una sorta di “fedina penale” dei prestiti che, proprio per questo, è visibile e reperibile da qualsiasi finanziaria decideremo di contattare per un nuovo prestito.

Cosa comporta essere considerato “inaffidabile”?

L’inaffidabilità creditizia può seriamente compromettere le nostre capacità di avere rapporti con la banca. Questo avviene tramite segnalazione al Crif dove i dati restano finché la situazione debitoria non sia stata saldata.

Cosa succede se ti rifiuti di pagare?

Se ritieni di non dover più pagare un debito, in ogni caso, sei libero di farlo. Tuttavia devi considerare le conseguenze che scaturiranno da tale decisione. Pertanto il debito si trasformerà in un reato e, quindi, riceverai una raccomandata che ti intima di proseguire nella restituzione e sarai formalmente denunciato.

Tempistiche di prescrizione dei debiti

I tempi di prescrizione partono dall’invio della raccomandata. Di norma ci sono due tipologie di prestito a cinque e dieci anni. i debiti che cadono in prescrizione dopo un quinquennio sono quelli previsti da importi dovuti senza contratto, come ad esempio la restituzione di danni per sinistro o per le utenze. Le prescrizioni a dieci anni, invece sono quelle previste per tutte le altre casistiche di debito. Per i prestiti la questione è un tantino più complessa e, nella maggior parte dei casi, dipende dal tipo di contratto esistente.

In ogni caso dovrai tutelarti tramite un avvocato perché, nella maggio parte dei casi, la questione potrebbe finire dinanzi ad un giudice. Questi, appurata la reale esistenza del debito avrebbe facoltà di procedere con soluzioni coatte, tra cui vi è il pignoramento dei conti correnti o dei beni. Per questo attendere una prescrizione non è mai la soluzione consigliata, a meno che non ci siano validi motivi certi per rimanere, in modo ostinato, sulle proprie posizioni.

Quando chiediamo un prestito, di norma, lo facciamo perché non disponiamo dell’intera liquidità per saldare un acquisto impegnativo come auto, spese mediche, lavori in casa e così via. Ottenere denaro in prestito, oggi, è molto facile e, soprattutto, è una prassi più che consolidata. Ciò che risulta più complesso è gestire le diciture e le formule complesse, da addetti ai lavori, con le quali abbiamo poca dimestichezza.

Per esempio non tutti sanno che estinguere anticipatamente un prestito, talvolta, potrebbe non essere così conveniente. La volontà di portare a compimento un finanziamento prima del tempo potrebbe essere motivata dall’esigenza di sganciare il nostro conto dall’addebito delle rate e togliersi di mezzo il debito.

Tuttavia le banche applicano costi su questa modalità e, quindi, l’estinzione anticipata del finanziamento va anzitutto valutata tenendo conto del contratto firmato con la banca. Vediamo cosa devi sapere sull’argomento.

Estinzione anticipata del prestito: come funziona?

L’estinzione anticipata del prestito non è altro che la restituzione di tutto il capitale residuo in un’unica soluzione, prima della scadenza naturale del contratto in essere. Nella pratica, tuttavia, questa facoltà prevede anche la restituzione degli interessi maturati fino a quel momento e, quindi, la procedura ha sempre un costo.

Prima di decidere, quindi, devi valutare la quota da restituire e leggere, nel prospetto del tuo finanziamento, a quanto ammonta il capitale residuo e gli interessi dovuti, ovvero il costo del servizio erogato dalla banca. Se hai un prestito quasi al termine, per esempio, potresti trovarti a pagare interessi molto alti ed un costo di penale, motivo per cui la restituzione anticipata non si rivelerà conveniente.

Ci sono costi da sostenere?

Oltre a quanto dovuto di quota capitale residua e interessi maturati dovrai calcolare i mancati interessi sulle rate future che non pagherai per estinguere tutto in un’unica soluzione. In pratica il guadagno delle banche consiste nell’applicare interessi su ogni rata del tuo prestito per cui se paghi tutto in un’unica soluzione, la banca vorrà avere da te ciò che avresti pagato mese per mese, fino alla naturale scadenza.

Di conseguenza il prospetto di estinzione anticipata prevederà un costo di penale fissato dal contratto all’istituzione del prestito. Di norma questa penale non può superare l’1% dell’importo rimborsato in anticipo se le rate restanti superano un anno. La penale scende allo 0,5% dell’importo rimborsato in anticipo, invece, se il residuo è inferiore ad un anno.

Quando e in che modalità sono previsti rimborsi?

I rimborsi sono previsti solo in alcuni casi, per esempio se hai stipulato una polizza correlata al prestito. Questo avviene soprattutto nel caso della Cessione del Quinto dello stipendio o della pensione. Per queste forme di prestito, infatti, si può ottenere il rimborso dei costi di polizza che sono già conteggiate in tutte le rate. Per procedere è necessario contattare la banca e richiedere il prospetto con il calcolo dei rimborsi e di quanto dovuto per l’estinzione anticipata.

Rent to Buy, letteralmente, significa “affittare per comprare”. Tuttavia questa formula non ha nulla a che fare con quella dell’affitto con riscatto che, come vedremo, è un tantino diversa. Sono entrambe formule di compravendita ma con differenze che riguardano sia il contratto che il “concetto”.

Dal modello Fanfani al Decreto Sblocca Italia

L’affitto con riscatto, introdotto ai tempi del dopoguerra con la legge del 28 febbraio 1949, rientra tra i provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia e la costruzione di case per lavoratori. Il provvedimento fa parte del cosiddetto piano INA-Casa dal quale, tutt’oggi, si fa riferimento al Modello Fanfani quando si parla di affitto con riscatto.

Poi ci sono i cosiddetti “Contratti in funzione della successiva alienazione di immobili”, come spiegato in una guida di Idealista, che, invece, rientrano tra le novità introdotte dall’articolo 23 del Decreto Legge Sblocca Italia. In particolare la legge introduce una nuova disciplina che tutela le parti contraenti e rimuove gli ostacoli che impedivano la diffusione di questi schemi contrattuali.

Rent to buy e affitto con riscatto: un confronto

In sostanza l’affitto con riscatto esiste già dagli anni cinquanta mentre, il rent to buy, costituirebbe una novità. Il primo permette di rateizzare parte del valore della casa o l’intero importo richiesto dal venditore mentre, il rent to buy, è una sorta di programma di allineamento che permette all’acquirente di ottenere il mutuo.

In altre parole si tratta di un “percorso” con il quale l’acquirente migliora il suo livello di capitale richiesto e crea uno storico di versamenti che rassicurano la banca sulla sua solidità creditizia.

Quindi l’affitto con riscatto si configura come un contratto di locazione mescolato con termini di acquisto. Tra le clausole c’è il prezzo bloccato per un tot numero di anni e la riqualificazione del prezzo di vendita decurtato delle mensilità pagate.

Il rent to buy, invece, è un contratto che permette di entrare in casa come inquilino in affitto e diventarne proprietario ad una certa scadenza, tramite il pagamento di rate mensili. È una forma ibrida per la quale, al termine del periodo di transizione, il conduttore potrà decidere se proceder con l’acquisto o meno.

Un leasing, per capirci.

La novità risiede nel fatto per cui, al termine del periodo transitorio, l’inquilino deciderà se acquistare o meno l’immobile. In questo caso può saldare quanto concordato decurtato delle rate mensili già versate che saranno la prova della sua affidabilità nei confronti della banca.

Con il Rent To Buy il proprietario consegna l’immobile al conduttore e riceve il canone di affitto, dopo aver fissato il periodo di tempo dopo il quale si stabilisce l’eventuale compravendita o meno.

Questa forma di contratto, secondo quanto previsto dal Decreto Sblocca Italia, deve essere redatta con atto notarile e trascrizione nei Registri Immobiliari. Si tratta di un’operazione che, nel caso in cui dovessero esserci ipoteche sull’immobile, tutela il proprietario che rimarrà titolare dell’abitazione fino al versamento dell’importo pattuito.

Peraltro in caso di mancato pagamento di più di un ventesimo di mensilità, l’inquilino dovrà lasciare l’abitazione e il proprietario potrà trattenere, a titolo di indennizzo, quanto versato. Viceversa, quando il venditore è inadempiente, questo dovrà restituire gli importi pagati dall’inquilino oltre agli interessi legali maturati.

Gli interessi moratori sono il risarcimento applicato ad un debito quando si verifica un ritardo di pagamento. È un concetto che si rifà alle transazioni commerciali, dove si possono verificare questo genere di situazioni da parte del debitore. In realtà anche le tasse o altre cifre da corrispondere alle PA possono essere interessate da un interesse di mora ma per le transazioni di tipo commerciale si applicano condotte differenti di cui parleremo in questo approfondimento.

La definizione di interessi moratori

L’interesse di mora è disciplinato dal Decreto Legislativo 231 del 2002, meglio noto come Attuazione della Direttiva Comunitaria 2000/35/CE sulla lotta ai ritardi di pagamento per le transazioni commerciali. Questo atto è stato poi modificato e recepito nel nostro Paese con il Decreto Legislativo 192 del 2012.

Esso prevede l’applicazione di interessi moratori alle transazioni commerciali, definite come contratti tra imprese e tra imprese e PA che riguardino consegne di merci o prestazioni di servizi. Laddove si verifichi un ritardo nel pagamento l’interesse moratorio decorre a partire dal giorno successivo alla scadenza del termine ultimo per saldare quanto dovuto.

Fattura elettronica e interessi moratori

Si tratta di un automatismo che solleva il creditore dalla costituzione in mora del debitore e, quindi, si applica in ogni caso nella modalità sopra descritta. In pratica quando sono decorsi 30 giorni dalla data di ricevimento della fattura, delle merci o della prestazioni di servizi si applicano interessi di mora nelle modalità previste dalla legge.

Con l’introduzione della fattura elettronica, soprattutto per i rapporto commerciali nel mercato B2B, l’addebito degli interessi moratori è stato ulteriormente semplificato e, quindi, automatizzato anche dai software di fatturazione di cui si servono le aziende sottoposte a tale obbligo.

Quando non si applicano?

Gli interessi moratori non si applicano se sia stato pattuito un accordo verbale volto ad allungare il termine di pagamento fino a sessanta giorni dalla data di ricevimento di fattura, merci o servizi. La contrattazione, verbale o scritta, prevede anche la possibilità di concordare un pagamento rateizzato e, in questo caso, gli interessi a risarcimento dei ritardi vengono calcolati solo in caso di fatture e pagamenti scaduti.

Come si calcolano gli interessi moratori?

Il calcolo degli interessi è distribuito in base al periodo dell’anno. Nel caso del primo semestre il tasso applicato è quello vigente al primo gennaio dello stesso anno. Per scadenze oltre il secondo semestre, invece, si applicherà il tasso vigente al primo luglio dello stesso anno.

Ciò nonostante le parti possono sempre concordare un tasso differente. In ogni caso il tasso moratorio applicato è calcolato rispetto alla somma non pagata entro il termine e al lordo di eventuali imposte. Il tasso moratorio, quindi, è la percentuale aggiuntiva che si somma a quanto dovuto e che funge da risarcimento per il mancato pagamento.

Online esistono molteplici tool che, in base alle norme vigenti, calcolano gli interessi moratori inserendo poche semplici informazioni riguardanti le transazioni. Per un calcolo esaustivo, tuttavia, conviene rivolgersi ad un contabile di fiducia al quale affidare la gestione della pratica.